Andiamo a farci un giro, fossi in te io ci starei.

Dite quel che volete: furbo, fortunato, sopravvalutato, bravo, mediocre, genio, cazzaro, poeta, pagliaccio. Si è gia scritto tanto dell’uomo e dell’artista e non sarò certo io ad aggiungere altre parole inutili.
So solo che alle elementari giravo fiero con una camicia a stelle e che ogni tot di stelle ce n’era una con scritto “Go Jovanotti Go”. Alle medie lo detestavo e alle superiori ero finito prevedibilmente tra le fila di quelli che gli attribuivano la svendita del rap. Poi ad un certo punto ti rendi conto che ti stanno insegnando ad odiarlo per osannare gente che preferisce spararsi addosso per un paio di cerchi in lega, che snobbarlo fa figo e che perdonare qualcuno, dargli la possibilità di crescere e svilupparsi, è una debolezza. E come tale è bandita in questo nostro mondo di fieri bboys. Yo, fratello. Parole come macigni, sentenze impietose che, gridate da uno stuolo di ragazzini in perpetuo cosplay dei propri idoli precotti, suonano un tantino patetiche.

Insomma, proprio quando comincia ad esserti chiara la portata delle stronzate che ti hanno raccontato, ti capitano a tiro un paio di dischi e si, sono ancora pieni di cose che non ti piaceranno mai (e qui c’entra poco il ‘credo della doppia h’, che è un pò che non ci credi più) ma – sorpresa – sono anche ricchi di cose, suoni, intuizioni, intenzioni che scopri così affini al tuo sentire che quasi ti spaventi.
Dischi densi, vivi.
In un panorama musicale mainstream che ormai non distingui più da un immenso software per comporre suonerie, dove il grande pubblico acclama personaggi che stanno semplicemente mettendo in pratica un vecchio trucco (“dai loro l’illusione di condividere quanto credono di aver capito della vita e canta le loro verità come se fossero le tue“, vedi alla voce VascoLigabue&co) o peggio gente che non ha talento alcuno e dunque è lì per farti sentire migliore (vedi alla voce MoltissimiAltri), per non parlare di tutta la faccenda talent-reality-circomonnezza, un disco come quelli è un faro, un’approdo, una speranza.

Poi arriva un nuovo album. E un altro, e un altro, e un altro. Nel frattempo fa diversi giri del mondo, diventa papà, altri giri del mondo, perde un fratello, perde la madre. Insomma, è ancora il capostipite di una tribù che balla ma molte cose sono cambiate, dentro e fuori. E a quarantacinque anni arriva questo, “Ora”. Certo, dovrà spiegare a parecchia gente il perchè di questa caduta di stile . Forse l’ha gia fatto, magari citando Picasso o magari Jarmusch che cita Godard, che se c’è una cosa che sa fare bene da sempre è fare casino. Ma chissenefrega.

Per quanto mi riguarda la vedo così: se riesci a farmi digerire Cesare Cremonini, che di solito mi provoca orticarie istantanee e vomito a tubo stile esorcista, sei davvero qualcuno. Se tranne qualche traccia mi trovi lì a tenere il tempo e a gustarmi i testi, allora mi hai convinto.

Io che le recensioni dei dischi non le leggo mai perchè – come zio Frank – credo che parlare di musica sia come ballare di architettura, mi ci sono tuffato, in questo Ora. Perchè se apro un disco e sento “è questa la vita che sognavo da bambino, un po’ di apocalisse, un po’ di Topolino“, allora so che il viaggio mi piacerà.

Eccomi qui, con una serie di idee ma soprattutto con la voglia di farlo ascoltare alle persone a cui tengo. E questa credo sia la cosa più importante che possa arrivare dall’opera di un altro. Piaccia o meno.

E con una nuova filastrocca-preghiera-poesia da insegnare a mio figlio, che è cosa ancor più grande.

Se avessi le radici sarei un albero

e invece sulla Terra posso muovermi.

Se fossi fatto in serie sarei un numero

e invece sulla Terra sono unico

Se avessi un’idea fissa sarei lapide

e invece sto vogando sulle rapide

Se non cambiassi mai sarei una formula

e invece sono vino sulla tavola.

Buon viaggio.

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italic, irregular, bald.™

Un Commento

  1. Alessio

    Ciao Fa… Belle parole complimenti. Come dici tu parlare di musica è come parlare dell’ architettura nel tempo e nello spazio. Se poi ci metti che l’arbitrarietà mentale di un artista o di un critico d’arte, è pressochè infinita, allora potremmo parlare finchè morte non ci separi. Condivido in pieno la prima parte del tuo articolo e condivido quando dici “..Insomma, proprio quando comincia ad esserti chiara la portata delle stronzate che ti hanno raccontato..” si perchè di nozioni e di traumi musicali e “non” ce ne inculcano o cercano di inculcarcene, tanti ma solo a noi spetta trovare il nostro paradiso musicale e ideologico. Penso che il Lorenzone sia un gran bravo artista che sa trasmettere ciò che ha dentro e anche io, come te, andavo in giro con il mio “Walkman Sony” con dentro il nastro di cui sopra. L’ho seguito a volte un po’ di più a volte l’ho osservato solo da lontano. Si è prima addolcito, poi inasprito, poi di nuovo addolcito…Non sempre l’ho condiviso musicalmente. E’ un poeta d’impatto e la musica a volte è piacevole, ma a volte è soprattutto parole. Io credo molto nella musica. Un pezzo deve trasmetterti quello che hai da dire, soprattutto dall’armonia della musica, di qualsiasi genere sia. Deve essere un idillio di musica e parole. Uno dei due da soli non sussiste. Nell’ultimo pezzo di Jova trasmesso per radio ad esempio “tutto l’amore che ho” non trovo riscontro nella music,a mentre il testo è belissimo. Come dire, la musica ci deve stare. Devo dire che nel complesso Lorenzo Cherubini è uno dei pochi artisti Italiani che merita di essere chiamato come tale.

  2. Wow, avevo scritto “gradito commento” ma non mi aspettavo questo fiume in piena! :) Grazie, Ale.
    E che me lo dici a me che andavi in giro con il walkman? Vuoi che non lo sappia? :D:D
    L’idillio di musica e parole è raro a questo mondo, ma c’è. E quando lo trovi sai bene che non te lo dimentichi più!
    A presto, un abbraccio grande!

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